BLOCKCHAIN E APPALTI PUBBLICI

Lotta alla corruzione, riduzione delle asimmetrie informative e verifica dei requisiti soggettivi: sono gli aspetti che maggiormente potrebbero trarre vantaggio dall’utilizzo della blockchain nell’ambito delle gare pubbliche. Stiamo parlando di una tecnologia che è stata definita come “one of the most fundamental invention in the history of computer science”, ovvero una delle invenzioni più importanti nella storia dell’informatica (Marc Andreessen), capace di trainare quella che viene individuata come la quarta rivoluzione industriale (Klaus Schwab, La quarta rivoluzione industriale, 2016).

È noto il rilievo che questa tecnologia può rivestire (e, in parte, ha già assunto) in materia monetaria (si pensi alle c.d. criptovalute, in primis Bitcoin), ma è ormai avvertita con altrettanta chiarezza la versatilità potenzialmente offerta dalla blockchain. Se, tuttavia, il potenziale della blockchain technology è di intuitiva percezione, il suo concreto utilizzo e i suoi ambiti elettivi di applicazione non sono stati ancora esplorati. Per descrivere l’attuale ‘stato dell’arte’ relativo alla nuova tecnologia è, dunque, spesso usata l’immagine di un iceberg allo scopo di evidenziare come, in entrambi i casi, ciò che è immediatamente visibile non è che una frazione, una minima parte del tutto.

Pare allora legittimo chiedersi quali vantaggi potrebbero trarsi dalla sua implementazione nelle gare pubbliche. Occorre prendere le mosse dalle principali problematiche che interessano la materia del public procurement.

La blockchain contro la corruzione

Una prima preoccupazione – che, si noti per inciso, emerge storicamente nel nostro Paese – è quella della corruzione che si può annidare nelle varie fasi che scandiscono le procedure ad evidenza pubblica e che, in passato, si è cercato di arginare mediante una riduzione dei margini valutativi lasciati alle stazioni appaltanti. Nonostante tale ultima prospettiva abbia mostrato tutti i propri limiti e, ad oggi, risulti difficilmente riproponibile, la preoccupazione per possibili fenomeni di corruttela è sicuramente (e costantemente) attuale e, nella percezione comune, pare ormai quasi connaturata al settore degli appalti pubblici.

Il nuovo Codice Appalti ha, a titolo meramente esemplificativo, potenziato le regole in materia di trasparenza e incompatibilità, proprio al fine di fronteggiare al meglio i pericoli di indebite influenze sulle procedure di gara. Ulteriori regole sono dettate per assicurare la tracciabilità della filiera dei pagamenti relativi agli appalti affidati nel rispetto di procedure selettive (L. 136/2010).

Ma, si sa, tali regole non si sono sempre rivelate adeguate alla loro funzione di prevenzione. Può dunque la nuova tecnologia contribuire – coadiuvando o, addirittura, sostituendo gli strumenti legislativi – a prevenire gli episodi di corruzione che affliggono il settore?

La blockchain offre idealmente una soluzione al problema della fiducia nelle transazioni, in quanto opera come una sorta di ‘libro mastro’ (ledger) digitale, ovvero di database decentralizzato (distributed ledger). Ogni transazione avviata all’interno di questo database (organizzato in blocchi tra loro collegati, ciascuno dei quali comprende anche diverse transazioni) deve essere riconosciuta e verificata dalla rete stessa. Ogni blocco di questa catena deve preventivamente essere verificato e validato dai partecipanti alla blockchain, così creando una rete che assicuri la tracciabilità e la verifica diffusa di tutte le transazioni.

I server dei partecipanti alla blockchain (i nodi), poi, fungono anche da archivio di tutte le transazioni che lo hanno coinvolto, formando una ‘cronologia’ non modificabile (salvo un nuovo consenso dei partecipanti alla blockchain) e, dunque, immutabile. Le caratteristiche della tecnologia blockchain paiono dunque naturalmente orientate a fronteggiare i rischi di corruzione, grazie all’immodificabilità dei dati e alla presenza di un controllo diffuso sui singoli passaggi della procedura.

Proprio allo scopo di aumentare la trasparenza dei processi di approvvigionamento, incrementare la fiducia nelle istituzioni pubbliche e ridurre il rischio di corruzione, il governo messicano sta ad esempio implementando un progetto per l’applicazione del blockchain agli appalti pubblici.

Va peraltro osservato che, con riferimento alle operazioni di gara, in una procedura ‘tradizionale’ una funzione di controllo su regolarità delle operazioni e integrità della documentazione amministrativa è svolta dagli stessi concorrenti i quali, partecipando ad esempio alle sedute pubbliche ed esercitando il diritto di accesso alla documentazione, possono verificare il rispetto delle numerose regole a tutela della segretezza e della immodificabilità delle offerte, nonché (più in generale) della par condicio competitorum.

Tuttavia, un possibile ampliamento della platea dei soggetti coinvolti in questo ruolo di controllo, oltre che esprimere la potenzialità democratica insita nella tecnologia blockchain, non può che idealmente potenziare e semplificare ancora di più tale attività, consentendo altresì di ridurre il (per la verità eccessivamente complesso) sistema di regole attualmente vigente. Tale ultimo aspetto potrebbe oltretutto condurre ad una riduzione dei tempi di svolgimento delle procedure di gara. Negli Stati Uniti, ad esempio, la General Services Administration (GSA) ha iniziato a studiare la blockchain per velocizzare il processo di aggiudicazione dei contratti nell’ambito del FASt Lane program, già pensato per giungere ad un’aggiudicazione entro 34 giorni (!).

L’asimmetria informativa

Una delle più promettenti prospettive applicative della blockchain riguarda poi la verifica dei requisiti in capo ai concorrenti e, più in generale, la riduzione dell’asimmetria informativa tra la pubblica amministrazione e gli operatori economici. Proprio in considerazione dell’incremento di fiducia che la blockchain è in grado di offrire (si parla di digital trust), pare agevole ipotizzarne l’utilizzo allo scopo di rendere maggiormente efficiente il meccanismo di verifica dei concorrenti (e della documentazione da questi presentata), nonché le analisi di mercato condotte dalle stazioni appaltanti.

Attualmente il sistema prevede lo sviluppo della Banca dati degli operatori economici (art. 81 del Codice Appalti), che in futuro dovrebbe sostituire il sistema dell’AVCPass (sul punto si veda il parere del Consiglio di Stato, 27 aprile 2018, n. 1126, reso sullo schema di decreto disciplinante tale banca dati). A tale banca dati – che dovrebbe rendere disponibili “dati e documenti relativi ai requisiti di carattere generale, tecnico-professionale ed economico e finanziario necessari per la partecipazione degli operatori economici alle procedure disciplinate dal codice e per il controllo in fase di esecuzione del contratto della permanenza dei suddetti requisiti” (art. 1 dello schema di decreto) – si aggiunge ad esempio il Casellario informatico, gestito dall’ANAC (cfr. delibera ANAC 6 giugno 2018, in GU n. 148 del 28 giugno 2018), nel quale confluiscono tra l’altro le informazioni relative alle SOA, nonché il rating di legalità gestito dall’AGCM.

Anche in questo ambito, l’integrazione della blockchain nel sistema delle gare pubbliche va attentamente analizzata, in quanto potrebbe potenzialmente ricoprire un rilievo centrale nell’aggiornamento delle informazioni, nonché nella loro validazione e efficiente gestione, altresì riducendo gli oneri amministrativi gravanti sulle stazioni appaltanti e sugli operatori economici. Sotto tale aspetto, un’adeguata interconnessione tra le varie banche dati e registri rilevanti risulta altresì indispensabile.

Mediante il potenziamento tecnologico pare potersi ipotizzare una più celere ed attendibile verifica dei dati relativi ai concorrenti, più in generale comprensiva del loro track record, al fine di ridurre l’asimmetria informativa che spesso caratterizza un settore, quale quello degli appalti pubblici, in cui operano soggetti pubblici naturalmente avversi al rischio.

 

La necessità di regolamentazione

Volendo trarre alcune conclusioni, occorre in primo luogo osservare che la blockchain – come, in fondo, ogni nuova tecnologia – è, in una certa misura, neutrale (Kobina Hughes, Blockchain, the greater good, and human and civil rights, 2017, ove se ne ipotizza l’utilizzo, oltre che nei procedimenti elettorali, anche allo scopo di contribuire alla tutela dei diritti umani). È, infatti, curioso notare come una delle preoccupazioni legate all’utilizzo della tecnologia blockchain sia proprio quella di un suo possibile ruolo di catalizzatore di attività criminali transnazionali.

Se a tale neutralità tecnologica si aggiunge la considerazione che la blockchain si è sviluppata e ha ricevuto una significativa attenzione soltanto in tempi recenti, si comprende come vada valutata con grande attenzione e accortezza sia l’opportunità di implementare tale strumento in una materia, quale il public procurement, permeata da delicati interessi pubblici e privati, che le sue concrete modalità di utilizzo.

Nonostante le potenzialità insite nella blockchain, pare allora necessaria una sua regolamentazione: è dato ormai notorio quello per il quale la tecnologia non può essere abbandonata a sé stessa, ma necessita di un’apposita disciplina, al fine di evitare il rischio di possibili abusi. Tale intervento regolatore non dovrà, però, eliminare i connotati intrinsecamente democratici, neutrali e decentralizzati che ad essa sono connaturati. In questo senso, un aspetto con il quale ci si dovrà misurare riguarda la corretta individuazione dei nodi della (i.e. dei partecipanti alla) blockchain e la relativa disciplina.

Inoltre, l’attuale non prevedibilità di tutti i possibili utilizzi della blockchain, se apre scenari futuribili sinora neppure immaginati, porta con sé anche una simmetrica preoccupazione: non è allo stato possibile ipotizzare tutte le vulnerabilità di questa tecnologia. E, nonostante la tendenziale immodificabilità dei dati validati mediante tale meccanismo peer-to-peer, non si può predicare (salvo accedere ad ambizioni di carattere utopico) la completa inattaccabilità della rete da potenziali interventi esterni o la sua immunità da fallimenti tecnologici.

Sembra, dunque, indispensabile una costante manutenzione del sistema, nonché il monitoraggio delle sue prestazioni e del suo funzionamento. Si tratta naturalmente di un’attività che richiede competenze e professionalità specifiche che dovranno essere appositamente formate e reclutate, con ciò potendosi generare interessanti occasioni ed opportunità per il mercato del lavoro.