HATE SPEECH

Ormai viviamo in un mondo globale, avvolti in una rete che si alimenta sui nostri smartphone e pc attraverso le chat, i blog, i forum ed è attraverso questi canali che hanno trovato sfogo i sentimenti di odio razziale, politico, i comportamenti offensivi verso le altre persone, generando un nuovo concetto di hate speech.

L’odio on line rappresenta un problema giuridico molto complesso da affrontare e risolvere, perché se è pur vero che il nostro ordinamento ha norme precise per difendersi dal reato di diffamazione, la tecnologia ha una velocità molto superiore all’evolversi del diritto. La giurisprudenza comunque si sta adeguando a queste nuove esigenze, statuendo che i social e le chat sono equiparate a luoghi pubblici, anche se il diritto alla difesa delle vittime spesso diventa un percorso tortuoso, soprattutto perché i gestori dei servizi on line sono sempre aziende estere.

Molte denunzie non hanno seguito in tribunale, in quanto archiviate per mere ragioni processuali, in quanto non è sufficiente un semplice screenshot per denunziare un crimine di odio sui social, perché affinché l’immagine abbia valore legale e diviene prova in un giudizio, è necessario ricorrere a tecniche di ‘cristallizzazione della prova’ che preservino da possibili alterazioni con Photoshop.

La Commissione europea  con la Raccomandazione di politica generale n.15  contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (ECRI) del 2016, definisce l’odio online,  meglio conosciuto come hate speech, come: “l’istigazione, la promozione o l’incitamento alla denigrazione, all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, o il fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce tale persona o gruppo, e comprende la giustificazione di queste varie forme di espressione, fondata su una serie di motivi, quali la “razza”, il colore, la lingua, la religione o le convinzioni, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, nonché l’ascendenza, l’età, la disabilità, il sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e ogni altra caratteristica o situazione personale”.

Successivamente nel 2016, la Commissione europea e i più grandi gestori dell’informatica (Facebook, Microsoft, Twitter e YouTube) hanno sottoscritto e adottato un codice di condotta per contrastare l’illecito incitamento all’odio on-line, la cui applicazione ha portato i primi risultati positivi. L’89% dei contenuti segnalati come offensivi vengono valutati e il 72% rimosso in 24 ore dalle società informatiche

; più del doppio rispetto al periodo precedente l’applicazione del codice.

Obiettivo dell’Unione Europea, Stati membri, social media e altre piattaforme è condividere tutti la responsabilità collettiva di promuovere e favorire la libertà di espressione nel mondo online e allo stesso tempo, vigilare che Internet non diventi un ricettacolo di violenza e odio liberamente accessibile.

In questo mondo variegato e volubile, si pone, oltre al tema della responsabilità del singolo, anche quello della responsabilità aziendale, per quanto pubblicato sugli spazi online. Si apre così un nuovo mercato che si sta sviluppando velocemente anche per assicurazioni e startup del settore che stanno sviluppando nuovi prodotti per coprire quello che, più che mai, è diventato un bisogno comune. Le principali compagnie assicurative si sono dotate di coperture assicurative per questi reati, in alcuni casi estendendo le tutele, anche all’autore del reato: perché, soprattutto in casi di cyber bullismo e cyber mobbing i danni che causa l’autore gravano sulla famiglia.

Anche il mondo delle startup si sta velocemente adeguando, facendo ricorso all’Intelligenza artificiale per contrastare questo fenomeno; partendo da un’analisi delle sentenze emesse in questo campo e creando una base dati per verificare se esistano o meno i presupposti per avviare un’azione legale. Grazie ad un algoritmo, l’utente scopre se effettivamente è stato vittima di un reato e ne identifica la tipologia, lasciando poi agli avvocati il resto del percorso.

Il mondo della tecnologia italiana applicato ai servizi giuridici è in forte espansione, in quanto è enorme il mercato potenziale per chi è in grado di semplificare procedure e meccanismi burocratici, con un continuo crescere di startup legaltech; oggi se ne contano in Italia 39 e circa 1.300 nel mondo per un valore globale di oltre 1 miliardo di fatturato.

Il ruolo dell’educazione nella lotta al cyberbullismo diventa  fondamentale; la lotta contro il cyberbullismo si combatte attraverso la formazione e per questo è stato creato un software capace di analizzare i social usati dai minori alla ricerca di tracce di abuso, pedofilia, odio. Anche qui interviene l’intelligenza artificiale, che allerta gli adulti con un “software, che quando rileva un comportamento anomalo, contestualizza il solo post incriminato, e consente di intervenire con cognizione di causa scaricando un report ricco di informazioni. Tracce che consentono, tra l’altro, di richiedere alla piattaforma l’immediata rimozione dell’offesa, sporgere denuncia alla polizia postale ed eventualmente intraprendere un’azione legale. E’ possibile rilevare dimensioni come intensità, frequenza e ripetitività degli attacchi”. Questa azione non può prescindere dal coinvolgimento delle scuole che devono essere parte integrante di questo processo.

Sicuramente questi sono solo sistemi per arginare il fenomeno, che rappresenta un problema epocale della nuova società, e sicuramente non lo risolvono alla fonte. Siamo di fronte ad una nuova tipo di patologia che alcuni definiscono abuso di libertà, aggravata anche dalla circostanza che spesso, ma non sempre, il profilo da cui partono gli attacchi non è anonimo, e questo induce a ritenere che chi abusa della sua libertà ritiene, nella propria sub cultura, che offendere e denigrare qualcuno sui social sia un titolo di merito nella comunità virtuale di appartenenza. Sui social le offese, le ingiurie, la protesta riscuotono like, cuoricini, emoticon sorridenti e commenti di approvazione, molto più di commenti di approvazione.

Stabilire un obbligo di identificazione di chi usa una piattaforma a mezzo di documento d’identità non è sufficiente a risolvere il problema dell’odio online, in quanto i “leoni della tastiera” che raccontando, offendono e ingiuriano, hanno un profilo social con nome e cognome reali e tanto di foto.

Questa nuova patologia non può essere curata soltanto con la repressione, ma attraverso educazione, cultura, dialogo, che possono contribuire alla ricerca di una soluzione che non bandirà il fenomeno dell’odio – razzista e non – dal web, ma lo arginerà e lo confinerà, si spera, ai margini della società.